lunedì 23 maggio 2016

Osho: L’ego è sempre stato un mendicante

23 MAGGIO 2016


  
L’altra notte, una giovane donna venne a trovarmi e disse: “Voglio mettermi al servizio della gente”.

Le dissi: “Se ti scordi dell’‘io’, sarai automaticamente al suo servizio”.

Cos’altro, all’infuori dell’ego, impedisce al tuo stile di vita di essere al servizio degli altri?

L’ego pretende di essere generoso; in realtà, vuole ogni cosa e non dà niente: è incapace di dare; per lui, dare non è possibile. L’ego è sempre stato un mendicante; pertanto, è impossibile trovare qualcuno che sia più povero e infelice dell’egoista.

Solo qualcuno che sia un re può mettersi al servizio degli altri. Cosa potrà mai dare una persona se non ha nulla dentro di sé? Prima di dare, è essenziale avere qualcosa.

In cosa consiste il prodigarsi? Non è forse l’amore in quanto tale un prodigarsi? E l’amore nasce solo in una consapevolezza nella quale l’io è morto e sepolto.

Nella morte dell’io si ha la nascita e la vita dell’amore.

Sopra la pira funeraria dell’io, germoglia il seme dell’amore.

Coloro che sono pieni dell’io sono vuoti d’amore. L’io è il nucleo da cui ha origine lo sfruttamento; e persino il suo mettersi al servizio degli altri è uno sfruttamento. Perfino prodigandosi, quello stesso io prospera e si rafforza. L’umanità è forse inconsapevole dell’ego dei benefattori? Perfino un ego teso a sfruttare si maschera di umiltà, ma l’umiltà di un benefattore è solo un proclama dell’ego. Ricorda: l’amore non dice mai nulla e il prodigarsi è sempre silenzioso.

Inoltre, ricorda che l’amore è di per se stesso apprezzamento, e prodigarsi è in sé la propria ricompensa.

Mi sovviene un episodio davvero strano...

Due amici andarono da un insegnante per imparare a dipingere. Entrambi erano molto poveri, non avevano nulla di nulla; per cui decisero che, per iniziare, uno di loro si sarebbe dedicato alla pittura e l’altro avrebbe cercato un lavoro per sostenere entrambi; in seguito, il primo avrebbe guadagnato a sufficienza per permettere all’altro di imparare.

Il primo iniziò a dipingere con la guida dell’insegnante. Passarono gli anni e lui apprese quell’arte; il tempo non contava: il giovane si dedicò con totalità a quell’arte. Poi, piano piano iniziò a diventare famoso; nel mondo dell’arte la sua stella iniziò a brillare: il suo nome era Albrecht Dürer.

Invece, l’amico si era impegnato nello scavare in miniera e nello spaccare pietre; nel tagliare legna e trasportare pesi. Piano piano si dimenticò completamente che anche lui voleva imparare a dipingere e, quando arrivò il suo momento per apprendere quell’arte, si rese conto che le sue mani erano diventate così callose, così dure e deformi che non potevano neppure tenere un pennello.

Di fronte alla sua sfortuna, il giovane si mise a piangere, ma l’altro si rallegrò e gli disse: “Che differenza fa se sono le mie mani o le tue a dipingere? Non sono forse mie anche le tue mani?”.

Dürer divenne un grande pittore, ma il nome dell’amico che gli permise di diventarlo con il suo sudore e la sua fatica, nessuno lo conosce. Ma quel suo ignoto prodigarsi non è forse un esempio vivido del suo amore? Coloro che servono non restano forse sconosciuti e le opportunità di essere utili non sono forse una benedizione?

Non creano soltanto coloro che sono famosi, lo fa anche chi rimane sconosciuto: non esiste sforzo o preghiera più grande del prodigarsi fatto dalle mani sconosciute dell’amore.

Albrecht Dürer dipinse in un quadro le mani del suo amico in preghiera: è forse facile trovare mani così belle? È possibile trovare mani più sacre di quelle? E potranno mai delle mani, fatta eccezione per mani simili, avere il diritto di pregare?

Dunque, pochissime mani hanno avuto la buona fortuna di amare e di pregare come poté accadere alle mani di quel buon amico.

Osho: Crea il tuo destino

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